Ordinanza n. 268 del 1990

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ORDINANZA N.268

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404 (Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale), e dell'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1989 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Losio Francesco e il Ministero del tesoro ed altro, iscritta al n. 682 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1990.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che, con ordinanza in data 26 ottobre 1989 (r.o. n. 682 del 1989), il Tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404 (Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale) nella parte in cui, prevedendo che i crediti vantati nei confronti di enti pubblici soppressi, possano essere fatti valere solo in via amministrativa, ovvero con ricorso all'autorità giudiziaria ma soltanto entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione della decisione amministrativa, determinerebbero, in ragione della mera qualità soggettiva del debitore, un'ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.) rispetto alle posizioni creditorie regolate dalle norme del diritto privato;

 

che identica questione, già sollevata dallo stesso giudice a quo nell'ambito del medesimo giudizio, è stata dichiarata infondata da questa Corte con sentenza n. 693 del 1988 nel presupposto che, secondo la prevalente giurisprudenza, < ...le norme impugnate non impediscono la proposizione dell'azione giudiziaria indipendentemente dal preventivo esperimento del procedimento amministrativo e prima che questo, se iniziato, si sia concluso, . . . >>;

 

che il tribunale rimettente, non ritenendo di poter condividere l'interpretazione accolta da questa Corte, in quanto determinerebbe una < < assolutamente ingiustificata> compressione del diritto di credito dell'attore (la cui domanda andrebbe respinta perchè proposta oltre il termine perentorio decorrente dalla comunicazione della decisione amministrativa), solleva nuovamente la questione nel presupposto che la precedente pronuncia di infondatezza, avendo natura < interpretativa di rigetto>, da un lato, non lo vincoli giuridicamente e, dall'altro, consenta una diversa decisione di costituzionalità ove il giudice remittente non intenda adottare l'< interpretazione adeguatrice>;

 

che, in via subordinata e per l'ipotesi in cui alla riproponibilità della questione nello stesso grado del giudizio fosse di ostacolo l'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudice a quo impugna anche tale disposizione ritenendola in contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito a tutti, < in ogni stato e grado del processo>, dall'art. 24 della Costituzione;

 

che non si sono costituite le parti ed è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato osservando che la questione principale già dichiarata infondata, in base all'art. 137, ultimo comma, della Costituzione e al principio del ne bis in idem, sarebbe inammissibile in quanto riproposta in termini identici nello stesso giudizio, mentre quella sollevata in via subordinata risulterebbe irrilevante, poichè il contenuto della disposizione impugnata non si riferisce alle ordinanze della Corte ma alle ordinanze (di manifesta irrilevanza o infondatezza) del giudice davanti al quale l'eccezione è stata sollevata;

 

che, nel merito, l'interveniente ha poi dedotto l'infondatezza di entrambe le questioni.

 

Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 693 del 1988, ha già dichiarato infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione e per gli stessi profili ora riproposti, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404;

 

che è precluso allo stesso giudice a quo sollevare questione identica a quella già dichiarata infondata nel corso del medesimo giudizio (sentt. nn.54 del 1961, 90 del 1964, 140 del 1973, 197 del 1983, 350 del 1987 e 536 del 1988) e ciò anche quando, avendo la precedente pronuncia natura interpretativa, la riproposizione della questione muova proprio dalla interpretazione esclusa dalla Corte;

 

che tale preclusione discende dal carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale e dall'imprescindibile nesso di necessaria pregiudizialità che lo lega al processo principale, il che comporta che il giudice a quo, che deve sollevare la questione di legittimità costituzionale (non potendo definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione di essa), è tenuto poi ad uniformarsi alla pronuncia della Corte, anche per quel che riguarda l'interpretazione esclusa che costituisce parte integrante della decisione che egli deve assumere;

 

che, così chiarite le ragioni della preclusione e della conseguente manifesta inammissibilità della questione già dichiarata infondata con la sentenza n. 693 del 1988, risulta del tutto irrilevante la seconda questione proposta in via subordinata e concernente l'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87 che ha riguardo alle ordinanze di manifesta infondatezza o di irrilevanza emesse dal giudice a quo e non dalla Corte.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9 , secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti al la Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 4 dicembre 1956, n. 1404 (Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale), sollevata in riferimento al- l'art . 3 della Costituzione dal Tribunale di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe;

 

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte), sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/05/90.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

 

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 25/05/90.